Dalla prima eta' moderna al 1815 (Parte 2)
Nel maggio 1631, sei anni dopo l'assedio del 1625, il magistrato di Guerra di Genova inviò a Triora il commissario alle Armi della Repubblica Giovanni Vincenzo Imperiale con il compito di compiere un'ispezione delle fortezze del borgo. Imperiale stese quindi un'ampia relazione della sua visita in cui erano sottolineate la posizione strategica dei forti trioresi e il valore militare, unito alla tenacia e l'intraprendenza nel lavoro, dei suoi abitanti. L'anno successivo venne edificato su pilastri altissimi per portarlo all'altezza della piazza della Collegiata l'oratorio di San Giovanni Battista. In seguito, con decreto della Repubblica di Genova e relativo atto di divisione rogato dal commissario Giacomo Negrone il 2 maggio 1654, i paesi di Molini, Andagna e Corte ottennero la piena autonomia amministrativa da Triora con facoltà di dotarsi di un proprio consiglio o parlamento, che sarebbe rimasto in vigore fino alla proclamazione della Repubblica ligure il 14 giugno 1796.
Nel 1656 la popolazione triorese venne letteralmente decimata da una grave peste, che, partita dal porto di Villafranca, dilagò in tutta la Liguria. Dieci anni dopo, nel 1666, in relazione alla necessità di riformare le leggi ecclesiastiche locali, il pontefice Alessandro VII emanò una bolla, intitolata Provisionis canonicatus collegiatae et parochialis loci Triorae, che trattava degli obblighi e degli onori canonicali del parroco e degli altri prelati residenti a Triora. Nel 1670, essendo sorte delle contese fra Triora e Briga in merito all'intricata questione dei confini tra i due comuni, il re di Francia Luigi XIV inviò a Triora in qualità di legato con il compito di risolvere la questione confinaria tra i due paesi l'abate Ugo Servient.
Dopo esser giunto a Triora ed aver attentamente esaminato i termini giuridici della contesa confinaria, l'abate francese pronunciò un laudo o arbitrato sulla questione sulla sommità del monte Marta. Il tentativo di mediazione compiuto dall'abate Servient non risolse però affatto la contesa inosorta tra i due paesi tanto che l'anno successivo il duca di Savoia Carlo Emanuele II, prendendo proprio a preteso la situazione permanente di attrito tra Triora e Briga per la questione dei confini e dei pascoli ai confini dei loro territori, dichiarò nuovamente guerra alla Repubblica di Genova.
Per tutto il 1672 il territorio di Triora divenne dunque teatro di una serie di sanguinosi scontri militari tra le truppe piemontesi e quelle genovesi, nel corso dei quali le campagne circostanti il paese vennero pesantemente devastate e le masserie sparse sul territorio saccheggiate e messe a ferro e fuoco. A Triora vennero inoltre stanziati migliaia di soldati genovesi, cinquecento dei quali ingaggiarono uno scontro armato con le forze piemontesi sul colle del Pizzo. Dopo due anni di aspro conflitto sulle montagne prospicienti Triora, il duca di Savoia pervenne infine ad una nuova pace con Genova che venne stipulata il 18 gennaio 1673.
Intorno al 1700 la popolazione triorese e delle tre frazioni di Molini, Andagna e Corte raggiunse il culmine della sua consistenza numerica nell'età moderna, come risulta dal registro parrocchiale dei residenti nati e morti in quel periodo. Nel 1711 soggiornò a Triora per tenervi una serie di seguitissime prediche il famoso oratore padre Paolo Segneri iunior. Oltre trent'anni dopo, nel 1745, durante la guerra di successione austriaca, Triora venne occupata da un corpo di spedizione spagnolo. In questa occasione il vescovo di Albenga diede facoltà al parroco di Triora di permettere che i soldati disertori, rifugiatisi nelle chiese e nei conventi del paese, venissero catturati senza però che questi fossero sottoposti a processo e che i catturanti incorressero nella scomunica.
Il presule ingauno diede anche disposizioni affinché i feriti e i cadaveri dei soldati venissero portati all'infuori di chiese e ospedali in modo che le autorità militari potessero effettuare il bilancio degli scontri tramite la ricognizione dei morti e dei feriti.
Intorno al 1755, su iniziativa del gesuita triorese padre Antonio Stella, vennero trasportate a Triora le ossa di un giovane martire, detto Tusco, provenienti dalle catacombe di Roma e risalenti al periodo delle grandi persecuzioni contro di cristiani del III secolo. Le autorità comunali e religiose ne istituirono quindi la festa solenne, accompagnata da una grande fiera, da tenersi annualmente la seconda domenica di luglio. Il 28 novembre 1756, dopo oltre un anno di devastazione dei vigneti locali da parte dei bruchi e dei campi di grano da uno sciame di cavallette, il Parlamento triorese istituì la festa e la processione penitenziale detta del Monte per ottenere la liberazione dalla tremenda pestilenza. La festa del Monte si celebra ancora oggi la seconda domenica dopo Pasqua.
Nel 1770 furono eseguiti grandiosi lavori di rifacimento della chiesa romanica della Collegiata, che venne così trasformata in una chiesa barocca. Nell'ambito di questi lavori di ristrutturazione, venne anche data una nuova forma a cupola all'antico campanile a cuspide della Collegiata, il cui quarto giro, costituito da quattro colonnine centrali di pietra, fu sostituito dalla nuova cella campanaria. Intorno al 1773 iniziò ad impartire l'insegnamento del latino presso la locale scuola retta dai francescani e diretta da don Bartolomeo Gazzano, il beato Giovanni Lantrua, che si recava nella scuola francescana, detta del lascito Velli, salendo quotidianamente a Triora dal sottostante paese natio di Molini. Nel 1781 giunse invece a Triora il vescovo di Albenga Stefano Giustiniani per effettuarvi la periodica visita pastorale.
Dopo lo scoppio della rivoluzione in Francia, le truppe francesi invasero nel settembre 1792 la Savoia appartenente al regno di Sardegna, il cui sovrano Vittorio Amedeo III si era poco prima alleato con l'Austria. Il 29 settembre le avanguardie dell'esercito francese, comandate dal generale Andrea Massena, occuparono Nizza e tutta la fascia costiera della contea nizzarda. La buona linea difensiva predisposta dai piemontesi impedì però all'esercito francese di penetrare nelle valli Roia e Vesubia. Subito dopo a Parigi la Convenzione proclamò l'annessione di Nizza e della Savoia alla Francia.
Nel 1793, dopo l'esecuzione di Luigi XVI e l'entrata in guerra della Francia con tutti gli Stati monarchici d'Europa, l'armata francese in Italia venne aumentata a ventimila uomini e posta alle dirette dipendenze del generale Biron, che riuscì a penetrare nell'alta valle Vesubia. Anche alle truppe piemontesi, in seguito ad una convenzione con l'Austria, vennero aggiunti rinforzi costituiti da un corpo di soldati autriaci ammontanti a ottomila unità. Assunse quindi il comando del corpo di spedizione austro-piemontese sulle Alpi Marittime il generale di Sant'Andrea, mentre al vertice di tutte le truppe austriache e piemontesi venne nominato il generale austriaco De Vins, che avrebbe diretto le operazioni belliche da Torino.
La vetta dell'Authion divenne il fulcro della resistenza piemontese, che resse bene all'impatto delle forze francesi, che vi sferrarono tra il febbraio e il giugno 1793 quattro furiosi attacchi senza tuttavia riuscire ad impadronirsene. L'8 giugno 1793 avvenne un durissimo e sanguinoso scontro tra francesi e piemontesi con ingenti perdite da ambo le parti. Nel settembre successivo le truppe piemontesi tentarono di forzare lo sbarramento nemico e penetrare nella contea di Nizza, ma, dopo diversi furibondi attacchi respinti dai francesi, dovettero rinunciarvi.
Dopo che era fallito anche un analogo tentativo francese di penetrare in Piemonte attraverso la val Roia, il generale Massena e il giovane Napoleone Bonaparte, il futuro imperatore dei francesi, suggerirono al comandante generale delle armate francesi sul fronte italiano Dumerbion un nuovo piano strategico da attuarsi nella primavera del 1794, una volta terminata la stagione invernale. Il piano prevedeva l'aggiramento della stretta di Saorgio attraverso i passi di Collardente e Tanarello dopo aver occupato i pilastri laterali di Marta e Saccarello e la stretta di Ponte di Nava in val d'Arroscia. Basi di partenza per queste operazioni avrebbero dovuto essere Triora e il colle di Nava, che però appartenevano alla Repubblica di Genova da poco dichiaratasi neutrale. Le difficoltà derivanti dalla neutralità di Genova vennero però superate de facto con l'occupazione dei suddetti territori da parte delle truppe francesi.
Il 6 aprile 1794 le avanguardie dell'esercito francese, guidate dal generale Arena, varcarono i confini della Repubblica di Genova ed occuparono Ventimiglia. Una divisione francese, comandata dal generale Massena, per accerchiare le forze piemontesi che presidiavano monte Grande, entrò in val Nervia, raggiunse Pigna e Castelfranco, e, attraverso il passo di Langan, penetrò in valle Argentina. Una seconda divisione, agli ordini del generale Laharpe, rimase di presidio in val Nervia occupando Dolceacqua, mentre una terza, guidata dal generale Hammel, prese possesso del passo di Tanarda, tra monte Grai e Porta Bertrand, prospicienti l'abitato di Triora. Una quarta e ultima divisione, comandata dal generale Mouret, occupò il 9 aprile la città di Oneglia, l'unico porto di mare che era rimasto in mano ai piemontesi.
Lo stesso giorno, il generale Massena, che aveva fatto occupare Triora e vi aveva posto il suo quartier generale, prendendo alloggio nella casa dei Borelli ubicata nel quartiere Poggio, fece occupare a sua volta dalle truppe della divisione François monte Trono, sovrastante l'abitato triorese, in modo da contrapporre un valido schieramento alle postazioni piemontesi asserragliatesi sulle pendici del monte Pellegrino. Altri reparti appartenenti alla stessa divisione presero possesso dei monti Mónega e Grande per poter sorvegliare le mosse delle truppe avversarie schierate nei pressi del Ponte di Nava e del monte Fronté.
Nell'ambito dell'approntamento dello schieramento antipiemontese, il generale Massena ordinò anche il trasferimento a Triora dalla val Roia attraverso il passo di Langan della divisione guidata dal generale Hammel. Effettuati questi movimenti di truppe, il generale Massena scese da Triora a Oneglia la mattina del 12 aprile per tenervi un consiglio di guerra con i generali Mouret, Laharpe, Bonaparte e il tenente colonnello Rusca. Nello stesso giorno Massena impartì delle direttive alle sue truppe per sferrare un attacco alle postazioni nemiche nella stretta del Ponte di Nava. Ritornato a Triora, Massena si portò con le sue truppe al Colle di Nava, dove, insieme alla divisione del generale Mouret e all'artigliera comandata dal generale Bonaparte, sferrò un furioso attacco alle posizioni austro-piemontesi, che, nonostante una valida resistenza da parte del reggimento piemontese Lombardia, ebbe successo e si concluse con l'occupazione di Ormea il 17 aprile e di Garessio il giorno successivo.
Dopo aver ottenuto questo brillante risultato, il generale Massena rientrò a Triora, dove predispose il piano dettagliato dei futuri spostamenti delle sue truppe. La prossima azione prevedeva un'ampia manovra di aggiramento dello schieramento austro-piemontese allo scopo di penetrare in val Roia scendendo a nord della stretta di Saorgio e prendendo possesso dei passi di Collardente e Tanarello e le cime di Marta e Saccarello, tutti situati nell'alta valle Argentina. Il 25 aprile un primo attacco francese alle postazioni piemontesi sul monte Pellegrino venne respinto dai reparti comandati dal conte Saint Michel. Nel corso della giornata del 26 aprile gli zappatori del Genio, appartenenti al battaglione del tenente colonnello Rusca, eseguirono lavori oltre l'abitato di Realdo e nei pressi di monte Gerbonte per sgombrare la neve e riparare le mulattiere.
La mattina del 27 aprile partirono da Triora tre colonne di soldati francesi agli ordini del generale Hammel, mentre altre due si staccarono dalla regione retrostante il Saccarello e una terza dalla zona di Saorgio, alla volta dell'abitato di Loreto. Superata la gola di Loreto, le colonne, tra cui la principale era guidata dallo stesso Massena e dal tenente colonnello Rusca, si avviarono verso il passo di Collardente con l'obiettivo di far sloggiare i piemontesi dalla cima di Marta e penetrare quindi in val Roia.
La colonna comandata dal generale François ingaggiò subito uno scontro armato con una compagnia del reggimento Piemonte agli ordini del generale Vernata nei pressi del monte Pellegrino riuscendo però, grazie anche alla sovrabbondanza delle proprie forze rispetto a quelle piemontesi, a superare l'ostacolo e a raggiungere il monte Saccarello, dove si trovò di fronte le truppe piemontesi guidate dal tenente Di Montezemolo, che, dopo aver ricevuto consistenti rinforzi, riuscirono a respingere i ripetuti attacchi nemici.
Poco dopo i reparti piemontesi agli ordini del cavaliere Vialardi, coadiuvati da altri reparti mandati in rinforzo e guidati dal colonnello Bellegarde, ottennero un brillante successo sulle pendici del Saccarello sulla colonna francese del generale còrso Fiorella, che morì in combattimento insieme a trecento soldati e quindici ufficiali. Forti di questo successo, i piemontesi attaccarono anche la colonna del generale François, che venne sgominata e ricacciata in piena fuga e con grandi perdite su passo della Guardia e monte Pellegrino. Un altro battaglione francese venne duramente sconfitto nei pressi del monte Tanarello da un reggimento provinciale di Nizza. Al termine di questi combattimenti, i piemontesi, comandati dal colonnello Bellegarde, rimanevano i padroni assoluti della zona prospiciente i monti Fronté, Saccarello e Tanarello.
Sul fronte di Collardente la colonna francese guidata dal generale Bruslé ingaggiò un primo cruento scontro con le forze piemontesi e austriache presso il fortino di Tanarda, che si concluse con forti perdite da parte francese. Contemporaneamente, la colonna Hammel, con cui marciavano Massena e Rusca, sferrò un attacco violentissimo alle forze piemontesi presso la ridotta di Sansòn, che venne occupata dai francesi dopo un durissimo scontro corpo a corpo, che era costato quattrocento morti ai francesi e centocinquanta ai piemontesi.
Successivamente le colonne francesi guidate dai generali Hammel e Bruslé tentarono senza successo di impadronirsi del passo di Collardente, che venne strenuamente difeso dai reparti piemontesi. Dopo una notte di tregua, l'azione venne ripresa la mattina del 28 aprile con uno scontro presso le ridotte Linaire e Cima Piné tra la colonna francese agli ordini di Massena e Hammel e un battaglione del reggimento austriaco Belgioioso, che, datosi inspiegabilmente alla fuga, consentì alle forze francesi di dilagare verso la vallata sottostante.
Nelle prime ore della notte tra il 28 e il 29 aprile, il comandante della fortezza di Saorgio generale Saint Amour, vistosi minacciato di completo accerchiamento da parte delle truppe francesi, decise di ritirarsi con il suo presidio a Tenda nonostante il parere contrario dei componenti il consiglio di guerra della fortezza. Nel giugno successivo il generale Saint Amour sarebbe stato poi processato a Torino per aver abbandonato la fortezza di Saorgio disobbedendo agli ordini del comandante supremo generale Colli e conseguentemente condannato alla pena capitale e fucilato.
La sera stessa del 29 aprile le truppe del generale Massena scesero nella val Roia occupando Briga Marittima. L'avanzata verso il colle di Tenda venne poi ripresa solo il 7 maggio, dopo che le truppe francesi avevano abbandonato il presidio di Triora e della val Nervia. Le truppe di Massena occuparono quindi il colle di Tenda l'8 maggio, rimanendovi fino al 20 per riorganizzare le retrovie e i rifornimenti. L'anno successivo Massena avrebbe poi sconfitto i piemontesi in varie località liguri arrivando ad occupare Savona. A lui successe Bonaparte, che, dopo aver battuto i piemontesi a Montenotte e Millesimo, costrinse il re di Sardegna Vittorio Amedeo III a firmare l'armistizio di Cherasco (28 aprile 1796), divenuto in seguito trattato di pace, siglato a Parigi il 15 maggio successivo, in attuazione del quale il re di Sardegna cedette Nizza e la Savoia alla Francia e accettò l'occupazione di parte del Piemonte da parte di alcune guarnigioni francesi.
Successivamente, in seguito alla proclamazione della Repubblica Ligure (31 febbraio 1797) direttamente dipendente dalla Francia, Triora entrò a far parte del nuovo distretto dell'Argentina, comprendente 13444 abitanti, con Taggia per capoluogo. Il 20 maggio, per sottolineare la rottura con il vecchio regime, anche a Triora vennero discalpellati gli stemmi gentilizi dei portali del paese e delle tombe nelle chiese. Nella piazza della Collegiata venne piantato l'albero della Libertà, cerimonia che si sarebbe ripetuta anche negli anni successivi, e si fecero feste pubbliche a cui parteciparono moltissimi abitanti al canto della "Carmagnola". Il 1° agosto il Governo provvisorio ligure emanò quindi la nuova costituzione democratica della Repubblica. Pochi giorni dopo, il 6 agosto, il popolo triorese, convocato nella chiesa parrocchiale, deliberò la soppressione dell'aumento sulla gabella degli erbaggi.
Il 14 settembre, con un decreto del governo provvisorio di Triora, venne stabilito di destinare una parte dei proventi dell'eredità lasciata al comune dal canonico triorese Giovanni M. Prevosto a favore dell'istruzione pubblica, mentre un'altra quota sarebbe stata utilizzata per costruire a Triora un ospedale per i poveri e realizzare un collegamento stradale con Briga. Nell'ambito poi della generale offensiva contro i membri del clero e i loro beni immobili, la municipalità triorese costrinse nello stesso 1797 i frati agostiniani a lasciare il loro convento e la chiesa di Sant'Agostino, edificata nel 1625, incamerandone i beni che ammontavano ad oltre centomila lire. Il 1797 venne anche funestato da una grave tragedia, che si consumò sulle alture della vicina Verdeggia, dove sedici persone morirono sepolte sotto una valanga di neve staccatasi dalle pendici del monte Saccarello.
Il 26 febbraio 1798 venne effettuato un censimento generale della popolazione del comune di Triora, che risultò ammontante a 9133 unità, di cui 2615 nel capoluogo, 1779 a Badalucco e 1155 a Castelfranco. Il 9 giugno la Liguria occidentale venne invasa dalle truppe piemontesi comandate dal conte Desgeney. A Triora si apprestarono le prime misure difensive con la trasformazione dell'oratorio di San Giovanni Battista in un luogo di concentramento delle truppe. Venne anche costituito un Comitato militare, presieduto dall'avvocato Luca Maria Capponi e dal cittadino Carabalone, che coordinò le operazioni militari dei volontari trioresi che si erano uniti ai soldati regolari dell'esercito genovese. Dopo poco tempo però Triora e il resto della Liguria occidentale dovettero capitolare e furono occupate dall'esercito piemontese.
Nel 1802 Triora fu incorporata nella Repubblica italiana, mentre due anni dopo passò sotto il Regno d'Italia. Nel 1802 si tenne anche un censimento della popolazione residente a Triora, da cui risultò che il comune era abitato da 5828 persone con un decremento dovuto alle numerose epidemie e carestie che avevano interessato la popolazione ligure alla fine del XVIII secolo. L'11 febbraio 1803, con decreto della Repubblica Ligure, vennero abrogati gli Statuti comunali trioresi insieme a quelli di tutti gli altri comuni della Liguria, anche se tali speciali leggi comunali rimasero formalmente in vigore a Triora ancora per qualche anno, almeno fino al 1819.
Pochi mesi dopo, il 2 giugno 1803, il governo della Repubblica Ligure emanò una legge in virtù della quale Triora veniva eretta a capoluogo dell'ottavo cantone della sesta giurisdizione, una delle sei divisioni amministrative in cui fu ripartito il territorio ligure, con residenza della municipalità e del giudice cantonale di prima classe. Il 2 dicembre 1804 il Senato di Genova supplicò l'imperatore Napoleone Bonaparte di annettere la Liguria all'Impero francese. La richiesta venne accolta ufficialmente il 5 maggio 1805. Con decreto infine del 17 pratile dell'anno XIII (5 giugno 1805), la Liguria venne riunita alla Francia e divisa in dipartimenti. Triora entrò a far parte dell'85° dipartimento delle Alpi Marittime, che aveva come capoluogo Nizza, in qualità di comune del secondo circondario di Sanremo.
Nel 1806, in ottemperanza a quanto disposto dal governo napoleonico a Saint-Cloud il 2 giugno 1804 sull'obbligo di seppellire i morti nei cimiteri anziché nei sotterranei delle chiese, anche a Triora si iniziò a seppellire i morti fuori dalle chiese e precisamente in un tratto di terreno, detto Trunchettu, adiacente all'antica chiesa parrocchiale di San Pietro. Tale zona era stata riservata fino al XIV secolo a luogo per le esecuzioni capitali, ossia le impiccagioni, che vennero poi trasferite nel Fortino, detto negli Statuti anche "carmo furcarum", cioè sommità delle forche. Prima del cimitero del Trunchettu, i defunti trioresi venivano sepolti nei sotterranei della chiesa della Collegiata, di San Francesco e di San Pietro. Il 25 marzo 1810 un decreto imperiale del governo napoleonico conferì a Triora il titolo di "Ville" (Città) come riconoscimento della particolare importanza politica e economica che il paese ligure aveva raggiunto sotto la dominazione francese.
Dopo l'abdicazione di Napoleone nell'aprile 1814 e il generale sfaldamento del suo vasto impero, a Genova venne ricostituita la Repubblica Ligure. Nel mese di maggio il sindaco di Triora, allora detto alla francese maire, Luca Capponi si recò a Genova, insieme ad una delegazione di altri sindaci della Riviera di Ponente, per esprimere al governatore inglese Lord Bentinck le sue felicitazioni per la restaurazione della Repubblica Ligure. La Repubblica era però destinata a breve vita in quanto i plenipotenziari europei riuniti a Vienna in congresso stabilirono che la Liguria, corrispondente al Ducato di Genova, sarebbe passata sotto la sovranità del Regno di Sardegna.
L'annessione del Ducato di Genova al Regno sardo venne ratificata con un trattato approvato a Vienna il 9 giugno 1815. Nello stesso anno il territorio del Regno di Sardegna fu diviso in province: Triora con tutto la zona compresa tra il fiume Varo e Oneglia sulla costa e fino a Tenda nell'entroterra venne inclusa nella provincia di Nizza, a cui sarebbe rimasta legata amministrativamente fino al 1860, mentre, per le riscossioni tributarie, venne messa alle dipendenze di Savona, capoluogo del dipartimento finanziario, a decorrere dal 18 aprile del 1815.